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Territorio e rinnovabili. Ferrante insulta la Daunia, l’Irpinia e tutto il Sud:

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Reazione della LIPU: ennesima “sparata”  qualunquista in favore della speculazione.          E un appello alla politica: basta dormire, fermate le prossime aste di incentivi all’eolico.

Ferrante la smetta di offendere il territorio meridionale fin troppo umiliato”. Lo afferma Enzo Cripezzi, coordinatore LIPU di Puglia e Basilicata, che aggiunge: “Affermazioni gravissime quelle di Ferrante, nel solco di una sottocultura che legittima la disinvolta confisca di migliaia di ettari di territorio con il grimaldello di eolico e fotovoltaico.

Il giornalista Sergio Rizzo è intervenuto sulla questione energetica pugliese dalle pagine del Corriere della Sera (link all’articolo) citando, tra l’altro, la speculazione delle rinnovabili, e parlando semplicemente di ….sterminate distese di pannelli fotovoltaici che hanno sottratto centinaia di ettari all’agricoltura… casi siciliani di eolico in aree poco ventose… regioni che non impediscono scempi indicibili (con eolico e fotovoltaico)… e chiedendosi come mai in una regione (la Puglia) cui sta tanto a cuore l’ambiente abbiano devastato una campagna meravigliosa con migliaia di pale eoliche.

Al di là dei ragionamenti su incapacità e conflitto delle istituzioni in materia energetica, le citazioni di Rizzo su eolico e fotovoltaico sono oggettive e inconfutabili.

Ma ecco Francesco Ferrante, ex parlamentare Margherita – PD, in soccorso della speculazione delle rinnovabili e contro le affermazioni di Rizzo (link al suo intervento).

Ferrante tenta di legittimare migliaia di ettari agricoli ingoiati dal fotovoltaico confrontandolo con quello perduto con la cementificazione, come se assurdamente l’uno fosse giustificabile rispetto all’altro. Fino ad invitare nei luoghi tra Irpinia e Puglia dove le pale si, ci sono, ma sono “bellissime” e addirittura “completano quel paesaggio”. A suo dire !

“Proprio perché l’Italia ha immense aree già cementificate, – prosegue Cripezzi – quel fotovoltaico poteva e doveva essere allocato in queste aree compromesse. Anzi, a parità di risorse, insediandone

di più, magari evitando, cosi, anche di insediare inutilmente l’eolico,

–    meglio, su aree urbanizzate coinvolgendo condomini, famiglie, artigiani con utili integrazioni in tempo di crisi invece di foraggiare i soliti furbi, anche esteri,

–    gradualmente, evitando il “tutto e subito” a caro prezzo con vantaggi per altri Paesi, che ora invece approfittano della curva discendente dei costi cui ha contribuito la “cavia” Italia”.

Quei territori della Daunia pugliese, dell’Irpinia, come della Basilicata o della Sicilia, erano decisamente “più” belli e attraenti prima che fossero industrializzati vomitandoci innumerevoli, enormi torri eoliche che ne hanno violentato i caratteri identitari.

Contestare simili dati di fatto, elementari anche per un bambino, è intollerabile ma, ancor più, la maldestra semplificazione di Ferrante offende la dignità di interi comprensori ridotti a “non luoghi”, prima dominati da Tratturi regi, Cicogne nere e Nibbi reali, aree Storiche e Archeologiche, Paesaggi suggestivi (apprezzati anche per location cinematografiche, vai al link). Valori che dovevano essere capitale per l’unico riscatto possibile delle aree interne del Sud, compromessi invece da questa immane aggressione”.

E pur senza valutare i penosi risultati energetici: migliaia e migliaia di torri eoliche (senza nemmeno un’anagrafe delle macchine realizzate!) per poco più del 5% di apporto elettrico (di scarsa qualità perché non programmabile), pari a nemmeno il 2% dell’intero fabbisogno energetico del Paese.

Ma ciò che più indigna è l’elettroencefalogramma piatto della politica.

Quando la smetteranno parlamentari e partiti di dormire sull’Italia aggredita da pale, pannelli e ragnatele di elettrodotti favorendo la legge del più forte ?“ – conclude Cripezzi.

La LIPU chiede nuovamente che si ponga fine al letargo politico: FERMARE immediatamente le prossime aste 2014 per l’assegnazione di lucrosi incentivi ventennali a nuove piantagioni eoliche e destinare quelle risorse verso politiche alternative di lotta ai gas serra ben più serie, performanti e utili, socialmente ed economicamente.

LIPU coord. Puglia e Basilicata 11.01.2014

La LIPU contesta un brutto articolo sulla Gazzetta del Mezzogiorno.

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Altro che “No”, il problema è la sottocultura del “Si a tutto”, emblema della prostituzione territoriale del Mezzogiorno 

In questi giorni è apparso un articolo a firma di Benedetto Sorino sulla Gazzetta del Mezzogiorno (link all’articolo) il cui titolo “Puglia, la cultura del no nemica dello sviluppo” preannuncia il solito attacco a chi (secondo il giornalista) “dice sempre no” nei confronti di progetti e infrastrutture, con il presunto ricatto economico, finendo con l’attribuire la responsabilità di mancanza di investimenti dall’estero proprio a questo atteggiamento sociale.

Sorino evita di addentrarsi nelle analisi prodotte da coloro che, a suo dire, ergono barricate contro le opere e le infrastrutture ma si attiene a un comodo qualunquismo che non contribuisce a fare informazione e lede il prestigio di una storica testata giornalistica come quella della Gazzetta del Mezzogiorno.

La cartina al tornasole di un approccio cosi poco oggettivo – fanno notare alla LIPU – emerge chiaramente quando il giornalista tira in ballo l’esempio delle centrali eoliche, non a caso definite disneyanamente “parchi”.

Sorino non riesce a notare che, semmai, si sta dicendo BASTA, per salvare il salvabile, dopo migliaia di torri eoliche disseminate e totalizzanti su vasta scala, e che perfino aree apparentemente scampate all’aggressione sono IPOTECATE da innumerevoli procedimenti autorizzativi. Tutto a danno del più grande patrimonio che mai nessuno potrebbe replicare all’estero: il territorio.

Il NO è stato impedito perfino di pensarlo, grazie a un decennio di silenzio mediatico e disinformazione, all’insegna della sottocultura delle “rinnovabili senza se e senza ma”.

Altro che un progetto eolico (UNO !!!!) preso a riferimento da Sorino in quel del mare ravvennate. Non emerge alcuna considerazione oggettiva di quali siano i termini di paragone con il Sud martoriato, ne valutazioni sociologiche ma anche energetiche e di convenienza economica.

Nell’articolo si tira in ballo la Vestas di Taranto, attribuendone la crisi poco elegantemente ai cattivi del “No”.

Si fa finta di dimenticare che la Vestas di Taranto non può basare certo la sua ragione di esistere sul mercato italiano ed è in crisi per la concorrenza di altre società. Nel mondo ma anche in Puglia, Basilicata e tutto il povero Mezzogiorno trafitto da piantagioni eoliche: Enercon, Nordex, Repower, Gamesa, Sinovel….!  Cinese. Anche loro a fare shopping di territorio, e questo dovrebbe far molto riflettere.

Le società eoliche non possono costruire pale all’infinito e quelle che lo stanno facendo, stanno spostando le produzioni all’estero. Ne più ne meno come altre società. Ironia della sorte, anche per i costi più elevati dell’energia, determinati dai mega incentivi che hanno irrorato le rinnovabili.

Ma con la Vestas Sorino accendeva anche l’“interruttore”, comodo e immancabile, del ricatto occupazionale. “Allora ricordiamo – afferma Cripezzi della LIPU – la triste ed emblematica vertenza della Tozzi Sud a Foggia approdata ai licenziamenti”.

La Tozzi Sud si occupava di progettazione, realizzazione e manutenzione di impianti elettrici e strumentali presso importanti committenti industriali in tutto il mondo. Ma la stessa Tozzi Sud è parte del grande gruppo Tozzi Holding di Ravvenna che si è tuffato nell’affarismo delle rinnovabili, inventando branchie societarie come Daunia Wind, Tozzi Nord, Tozzi Renewable Energy, tra le più aggressive che hanno fatto man bassa di territorio grazie all’inconsistenza delle istituzioni a tutti i livelli senza lesinare puntuali ricorsi al TAR.

Ecco l’assurdità: con un vestito si può dichiarare la crisi, buttare a mare risorse umane e tessuto industriale – quindi economia primaria – perché tanto, indossando altri vestiti (e nello stesso territorio!!!), ci si è accaparrati milioni di euro annui per i prossimi 20 anni a scapito della collettività. Altro che Economia e Occupazione”.

E quindi, perfino l’ipotesi di uno spostamento dell’approdo del gasdotto TAP dal litorale S. Foca alla zona industriale di Brindisi, viene iscritta da Sorino tra quelle dei “nemici” allo sviluppo.

In realtà i “nemici”, conclude la LIPU, sono quella classe politica e amministrativa che per decenni ha permesso che si spolpasse il territorio e ancora oggi concepisce investimenti distorti, opere smisurate e leggi  permissive ma incoerenti e generatrici di contenziosi e vertenze. Il tutto in cambio di consenso artificiale, degrado e dispendi finanziari (e minor lotta ai gas serra, volendo rimanere in tema energetico).

“Non è un caso – ricorda Cripezzi – che proprio nell’ambito dell’energia “pulita”, l’eolico, si è determinata la più grande confisca penale di tutti i tempi. Ma di questo si fa finta di non cogliere il peccato originale: quelle maglie normative larghe e criminogene (come scientificamente dimostrato da studi internazionali) artatamente predisposte dalla politica”.

A intimorire le società straniere dall’investire in Italia non sono comitati e associazioni bensì la CORRUZIONE, come ci ricorda l’OCSE, e la mancanza di una giustizia affidabile che arranca, mettendo a repentaglio il valore stesso del Diritto, a maggior ragione in ambiti delicati come l’economia.

L’uso del territorio, e NON il suo sfruttamento, presuppone patti e condizioni oltre che i numeri concreti di analisi serie. Su tante opere, e su quelle energetiche in particolare, questi presupposti sono stati assenti.

LIPU  Puglia-Basilicata, 21.12.2013

L’eolico mortifica anche i capolavori del cinema italiano

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Piantagioni eoliche sopprimono l’identità della Nazione oltre a Natura e Paesaggio

All’indomani della 70a edizione della Mostra del Cinema di Venezia, al Sud ricorrono 10 anni di un capolavoro cinematografico che, però, è scandalosamente omaggiato con la cancellazione dell’anima territoriale che ne fu ispirazione: alla devastazione di paesaggi, natura e storia perpetrati dell’eolico si aggiunge quella della cultura.

2003, nasce “Io non ho paura, tratto dall’omonimo romanzo di Ammaniti. Una storia ambientata nel 1978, in un immaginario, minuscolo borgo pugliese e tradotta con gli occhi di un bambino. Il piccolo Michele di 10 anni, tra sentimenti ed emozioni, è alle prese con le angosce di un segreto più grande di lui: il rapimento di un suo coetaneo. Sullo sfondo è miscelata la drammaticità e la crudeltà degli adulti.

Con l’abilità di un grande regista, Gabriele Salvatores, proprio il Paesaggio e la Natura dei luoghi diventano essi stessi personaggi di una narrazione coinvolgente, perché l’ambiente “racconta cose che i personaggi in carne e ossa non esprimono” come lo stesso regista ha affermato in proposito.

Le immagini di grandi spazi, dosate con musiche suggestive, parlano anch’esse – afferma Enzo Cripezzi della LIPU di Puglia e Basilicata – e raccontano di un sud assolato e luminoso, naturale, dominato dall’oro dei campi di grano estivi. Il contorno di Nibbi reali e altri animali selvatici contribuisce incantare lo spettatore”. (a questo link sul canale youtube della LIPU di Capitanata, un estratto del film insieme a un assaggio della colonizzazione eolica)

Per le riprese, Salvatores aveva scelto i mosaici paesaggistici che lo avevano catturato e ispirato ai piedi del Vulture melfese, tra Basilicata e Puglia.

Campagne dorate, panorami ben conservati, infiniti, il vulcano del Vulture sullo sfondo, masserie e testimonianze della civiltà rurale. Era il luogo ideale per la location di una grande pellicola, con riprese ad altezza del grano e degli occhi dei bambini.

Il film si affermava, anche all’estero, come una delle pellicole più belle del cinema italiano. “Io non ho paura” veniva premiato dalla critica ma anche con riconoscimenti e nomination per regia, fotografia, sceneggiatura. Fino ad essere riconosciuto “Opera di Interesse Nazionale” dal Ministero per i Beni Culturali e Ambientali e poi essere candidato a rappresentare l’Italia agli Oscar.

Questi territori sono stati umiliati, subiscono un’aggressione sempre più estesa– continua Cripezzi – la valle dell’Ofanto con le campagne di Melfi e Candela dominate dal massiccio del Vulture, sono state vergognosamente amputate della loro bellezza grazie a una politica miserabile. Il versante pugliese incancrenito, quello lucano, in vista del Castello Federiciano che diede i natali alle costituzioni di Melfi, squallidamente condannato da altre decine e decine di megatorri in costruzione. E cosi non è risparmiata nemmeno la grandiosità del Vulture, assediata da cortine di pale enormi dopo migliaia di ettari già confiscati, assoggettati e degradati sul piano paesaggistico, naturale e storico nel Mezzogiorno”.

Quindi, territori sempre più ampi, a perdita d’occhio, sottratti anche alla memoria e alla identità di un Paese incapace di riconoscere le vere ricchezze, con istituzioni complici di una colossale speculazione territoriale.

Ironia della sorte, il confine appulo-lucano tra le pendici del Vulture Ofantino e la valle Bradanica viene proposto come meta rappresentativa di questa location cinematografica.

Schizofrenicamente, da una parte si promuovono “Apulia Film Commission” e “Lucana Film Commission” per favorire l’industria del cinema al Sud, dall’altra si distruggono i beni più preziosi, funzionali, tra l’altro, all’ispirazione di opere cinematografiche !

Ed è solo un esempio: gli scenari del Sud hanno conferito pregio a molte altre pellicole famose ma inesorabilmente l’eolico, con le sue dimensioni sproporzionate e invasive, con il suo carattere degradante, sta ingoiando i territori del Mezzogiorno nell’indifferenza più irresponsabile.

Ancora una volta, l’ennesima – conclude Cripezzi –, pretendiamo uno stop immediato all’inaccettabile foraggiamento finanziario dello Stato per queste ulteriori mattanze territoriali, inutili e perfino dannose anche per la stessa lotta ai gas serra, come dimostrato con alternative inoppugnabili. In un momento di crisi come questo è ancor più imperdonabile, qualunque decisore politico dotato di buon senso direbbe BASTA. L’eredità immorale lasciata da centinaia di pale già disseminate è più che sufficiente per riflettere sulle follie compiute”.

LIPU – Coordinamento per la Puglia e per la Basilicata – 23.9.2013

Cicogna nera: scoperta dalla LIPU nuova coppia nidificante sull’Ofanto

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Ora sono tre le coppie riproduttive monitorate dalla LIPU su questo fiume che si conferma di primaria importanza nazionale per la specie.

Preoccupazione per territorio a rischio e istituzioni ancora immobili.

Esperti LIPU controllavano le fasi riproduttive di due coppie già seguite da anni sul fiume Ofanto, destando l’interesse della comunità ornitologica con pubblicazioni sulle riviste scientifiche. Da qualche tempo una terza coppia era nell’aria e, grazie al continuo monitoraggio dell’area fluviale, la LIPU ne ha accertato finalmente la riproduzione con la nascita dei giovani (video).

Quando ormai le giovani cicogne delle coppie ofantine sono in fase di involo e la riproduzione ha potuto completarsi con successo, la LIPU annuncia l’evento di eccezionale importanza sul panorama naturalistico nazionale considerando la rarità della specie in Italia.

La Cicogna nera ha iniziato a nidificare in Italia dal 1994 arrivando oggi a una dozzina di coppie. E’ un migratore contemplato dalle Direttive internazionali e dalla recente Lista Rossa italiana, in cui è classificata VU (vulnerabile), oltre che protetta dalle leggi in materia di fauna selvatica. Frequenta corsi d’acqua e zone umide poco antropizzati in cui cacciare. Rispetto alla cugina Cicogna bianca, più confidente e diffusa, si caratterizza per una livrea nera con ventre bianco mentre zampe e becco spiccano di colore rosso fuoco.

Esprimiamo grande soddisfazione – commenta Enzo Cripezzi, responsabile LIPU che ha seguito le nidificazioni – per questa scoperta che va a consolidare il nucleo di Cicogne nere sull’Ofanto conferendo a quest’area ulteriore valore su scala nazionale, ospitando praticamente il 25% della esigua popolazione italiana. Si tratta di un territorio molto prezioso anche per la presenza di rapaci come Nibbio reale e Nibbio bruno, Biancone, Lanario, Pellegrino, ecc. e per altre rarità come la Lontra.”

Rimane la preoccupazione per l’assenza di tutele del territorio e le minacce incombenti, alcune delle quali hanno assunto carattere emergenziale: il comprensorio è sempre più degradato e assediato da centinaia di torri eoliche industriali e le regioni Basilicata, Campania e Puglia non hanno ancora assunto impegni concreti per salvaguardare almeno le aree scampate a questa indiscriminata colonizzazione, malgrado ripetuti allarmi e richieste lanciati da tempo dalla LIPU.

Come se non bastasse sono stati incredibilmente approvati nuovi progetti (e altri continuano ad essere proposti) con il serio rischio di imbalsamare il territorio con altre centinaia di enormi pale, sbancamenti, elettrodotti, piste, stazioni elettriche, ecc… a meno che non si intervenga urgentemente, ad esempio con una interdizione totale agli incentivi per tutti i progetti ricadenti in aree strategiche per paesaggio e biodiversità.

La LIPU continuerà a svolgere azioni di monitoraggio e di tutela per la Cicogna nera – rimarca il Presidente della LIPU Mamone Capria – ma rivolge una nota alle Regioni Basilicata, Campania e Puglia e al Ministro all’Ambiente Clini: la Cicogna nera simboleggia il valore di un territorio che deve essere trasferito alle generazioni future, per interesse economico e a testimonianza di un paesaggio che sta scomparendo ed è per questo che tali Enti hanno l’obbligo anzitutto morale di impegnarsi per la sua salvaguardia.”

Roma, 10.8.2012